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PAPATO
Guida personale della Chiesa cattolica apostolica
romana da parte del vescovo di Roma, detto papa.
La posizione di primato rivestita dal vescovo di Roma nella Chiesa cattolica
è attestata dai suoi precoci interventi autoritativi nelle questioni
interne alle altre chiese (lettera di papa Clemente alla chiesa di Corinto,
nel primo secolo).
IL PRIMATO DEL VESCOVO DI ROMA. I decreti dei sinodi locali erano
di solito notificati al vescovo di Roma, mentre la convocazione da parte
dell'imperatore dei concili ecumenici dal
secolo IV in poi veniva approvata dal papa che inviava propri rappresentanti.
L'autorità morale del successore di Pietro si estese presto all'ambito
politico e amministrativo a causa della crisi dell'impero romano, che
spinse alcune personalità di rilievo ad affermare la suprema giurisdizione
di Roma su tutte le chiese della cristianità, provocando una resistenza
in quelle soggette a Bisanzio che nell'XI secolo condusse allo scisma
d'oriente. In analogia con l'universalismo della figura dell'imperatore
e nel tentativo di sottrarre il papato alle sue ingerenze in campo religioso,
Leone I (440-461) affermò che il successore di Pietro era il solo
a detenere nella chiesa la pienezza dei poteri (plenitudo potestatis);
Gregorio I Magno (590-604) si comportò
da sovrano spirituale dell'Europa occidentale, favorendo anche le missioni
presso i popoli barbari che espansero la sua autorità anche al
di fuori dell'impero. Per supplire al vuoto di potere politico in Roma
e dintorni, nasceva intanto il dominio temporale del papato, poi confermato
dalle donazioni di Liutprando e di Pipino
il Breve (Stato della chiesa). Gli imperatori
franchi videro con favore la crescita delle prerogative del vescovo di
Roma (che dall'VIII secolo in poi si riservò l'appellativo di summus
pontifex e dal X quello di papa, in origine dati a ogni vescovo) come
veicolo di unità per l'occidente davanti a Bisanzio.
ORGANIZZAZIONE GERARCHICA E PRIMATO UNIVERSALE. La Chiesa cattolica
assunse da allora un assetto gerarchico che con la Riforma
gregoriana tentò di comprendere e subordinare la stessa autorità
imperiale. Superato infatti il grave periodo di anarchia del X secolo
(l' "età ferrea"), il papato trovò le forze per imporre
la propria pretesa alla supremazia non solo spirituale ma anche politica,
ai danni dell'impero, nella cristianità, secondo il programma espresso
nel Dictatus papae di Gregorio VII.
L'ambizioso progetto, mai pienamente attuato, portò a importanti
realizzazioni istituzionali: nel 1059 venne creato il collegio dei cardinali
per rendere indipendente da condizionamenti secolari l'elezione del papa;
la curia romana ebbe un forte sviluppo, dovuto
all'accentramento nel papato delle principali funzioni di governo della
chiesa, fra cui la nomina dei vescovi. Con Innocenzo
III il papato si trasformò in una ierocrazia dai forti accenti
monarchici, che Innocenzo IV consolidò dal punto di vista giuridico:
il papa, superiore a ogni altra autorità in quanto vicarius
Christi, è fonte di ogni diritto e di ogni dispensa da esso
e presiede anche a livello politico il governo dell'Europa cristiana.
Nell'età di Bonifacio VIII l'apologetica
della potestà assoluta pontificia vantò le opere di Egidio
Romano e Agostino Trionfo. Ma tali rivendicazioni trovarono un ostacolo
insormontabile nel particolarismo della nobiltà romana e nelle
pretese dei nuovi stati nazionali, fattori che provocarono il trasferimento
del papato ad Avignone (cattività avignonese,
1309-1377). Qui il papato proseguì, sotto la protezione del re
di Francia, lo sviluppo dell'indirizzo monarchico, soprattutto sotto il
profilo fiscale e amministrativo.
POTERE TEMPORALE E DECLINO DELL'UNIVERSALITÁ. La crescita
del potere cardinalizio di quest'epoca provocò tuttavia una crisi
d'autorità che condusse allo scisma
d'occidente. Per uscire dal problema della compresenza di due e infine
tre pontefici, si affacciò la teoria della superiorità del
concilio sul papa (conciliarismo), presto
rintuzzata dal papato dopo che con Martino V esso ritrovò la propria
indiscussa unità al vertice della chiesa, sia pure al prezzo di
una serie di concordati con i sovrani nazionali che resero puramente virtuale
la sua sovranità universale. Fra XV e XVI secolo la monarchia pontificia
imboccò la strada dell'assolutismo, a causa di una decisa politica
temporalista che non venne arrestata neppure dalle denunce della Riforma
protestante.
LA CONTRORIFORMA. Alla frattura della cristianità i pontefici
risposero anzi rafforzando la propria autorità, accentuandone la
continuità con la tradizione e associando tale processo all'opera
di riforma disciplinare intrapresa dal concilio di Trento, che offrì
al papato gli strumenti per un intervento capillare a ogni livello della
vita ecclesiale nelle aree di sua obbedienza (nunziature permanenti, visite
vescovili a Roma ecc.). L'operazione di rilancio del primato pontificio
nel contesto della Controriforma poté contare sull'attivo sostegno
dei gesuiti, che ai consueti tre voti religiosi aggiungevano quello dell'obbedienza
totale al papa: il teorico della sovranità pontificia in quest'epoca
fu Roberto Bellarmino, che tuttavia limitò a una potestas indirecta
la possibilità di intervento del papa nella sfera temporale. Nonostante
il grande dispiego di mezzi politici e dottrinali, il prestigio del papato
soffrì in età moderna di un notevole declino, non solo per
la riduzione dell'area geografica sottoposta a esso e per la nascita fra
XVII e XVIII secolo in seno all'Europa cattolica di correnti culturali
atee o irreligiose (libertinismo, illuminismo), ma anche per il sorgere
di molteplici filoni dottrinali interni al cattolicesimo che mettevano
in dubbio la natura del suo potere (gallicanesimo, giansenismo, febronianesimo).
In età contemporanea la perdita di influenza sulla società
europea provocò da parte del papato un atteggiamento difensivo
nei confronti della realtà storica, sempre più negativamente
interpretata come allontanamento dalla fede (Pio IX, Sillabo), soprattutto
dopo il trauma rappresentato dall'età delle rivoluzioni (durante
la quale due papi furono deportati in Francia) e dalla caduta dello stato
pontificio.
CATTEDRA DOGMATICA E NUOVO ECUMENISMO. Dopo la proclamazione del
dogma del primato e dell'infallibilità da parte del concilio
Vaticano I (1870), l'obbedienza al papa divenne un punto centrale
nella vita religiosa dei cattolici, contro ogni insidia antireligiosa
(socialismo) o deviazione dalla retta dottrina (modernismo). Il ruolo
di esclusivo tutore di quell'uniformità e quella saldezza che sole
avrebbero garantito alla chiesa di sopravvivere attraverso le tempeste
della storia consentì al papato di rilanciare la sua azione nel
mondo con Leone XIII. Una nuova interpretazione della guida del papato
alla testa della chiesa, a correzione di una tendenza che presentava segni
di sclerotizzazione, venne in seguito al concilio
Vaticano II (1962-1965), che nel rivalutare i principi della collegialità
episcopale, della pastoralità e dell'ecumenismo, favorì
la revisione del concetto di primato papale, aprendo la strada alla riscoperta
della natura vescovile di tale funzione e al coinvolgimento delle conferenze
episcopali nella direzione della chiesa.
M. Pellegrini

W. Ullmann, Il papato nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1975; L. von
Ranke, Storia dei papi, Sansoni, Firenze 1965; A. Riccardi, Il
potere del papa. Da Pio XII a Paolo VI, Laterza, Roma-Bari 1988.
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